Accade nello spazio - Giugno 2016

Data di pubblicazione: 06/06/2016  
Planetario

Non si era mai sentito parlare di tsunami al di fuori dell’ambiente terrestre. Ora invece “emergono” le prove che la violenza di questi eventi ha colpito anche su Marte: ben due volte, più di 3 miliardi di anni fa, il pianeta rosso è stato devastato da onde alte fra 50 e 120 metri, sollevate in entrambi i casi dalla caduta di due asteroidi. Gli impatti sono stati violentissimi, e le onde hanno spazzato territori vasti come Francia e Germania messe insieme nell’emisfero nord di Marte, provocando la formazione di ampi depositi di sedimenti. Ma dove sono caduti quegli asteroidi? In un grande oceano che ricopriva buona parte dell’emisfero settentrionale del pianeta: il ritrovamento dei sedimenti conferma così l’esistenza – finora supposta – di quell’oceano, e mostra anche che fra uno tsunami e l’altro il clima marziano doveva essere cambiato. Nel primo caso infatti sono stati sollevati principalmente massi, e lunghi canali di riflusso furono scavati dall’acqua. Il secondo tsunami invece ha formato pozze che si sono condensate in lobi di ghiaccio, ancora depositati sulla superficie: segno che nel frattempo l’oceano si era assai raffreddato. L’acqua salmastra che lo riempiva poteva fornire un habitat favorevole, dunque quei lobi ghiacciati potrebbero diventare i campioni più interessanti da studiare per le prossime missioni che cercheranno tracce di vita sul pianeta rosso. 

Più o meno nella stessa era, anche sulla Terra ci fu un disastroso impatto: i sedimenti ritrovati nelle rocce australiane di Marble Bar, tra le più vecchie della Terra, suggeriscono che un asteroide fra i 30 e i 40 km di diametro colpì il nostro pianeta circa 3,4 miliardi di anni fa – ma non si sa dove. Un evento che fa impallidire la caduta dell’asteroide di Chicxulub, in Messico, che provocò l’estinzione dei dinosauri.

Gli urti che avvengono oggi sono per lo più su scala assai minore, ma non per questo risultano meno pericolosi: come nel caso del minuscolo frammento che ha colpito i finestrini della Cupola, sulla Stazione Spaziale, scheggiando gli strati di vetro con un piccolo “cratere” di 7mm. Per fortuna il danno non è grave e il materiale è progettato per resistere a questo genere di “incidenti”, tuttavia episodi del genere richiamano frequentemente l’attenzione sulla gravità del problema della spazzatura spaziale, che mette a rischio la sicurezza dei voli orbitali.

A proposito di Messico e dintorni, avrete letto la storia dello studente canadese di 15 anni che usando Google Earth avrebbe scoperto una città Maya abbandonata nella giungla del Guatemala, confrontando la disposizione delle città con le loro costellazioni. Bene: a quanto pare, i tracciati geometrici rilevati dal satellite, che inizialmente avevano fatto pensare a edifici e piramidi nascoste, in realtà sarebbero solamente i contorni di un campo di marijuana.

Sempre in tema di cose che non ci sono, prosegue il dibattito sul famigerato Pianeta Nove. Ora si concentra sulla sua formazione e la sua origine: è nato con il Sistema Solare o vi si è aggregato in seguito? Orbitava più vicino al Sole ed è stato spinto lontano dalle risonanze con Giove e Saturno oppure dallo strappo di una stella di passaggio? Sono solo alcuni scenari che si stanno valutando per arrivare a un identikit di questo pianeta sfuggente, di cui tutti parlano ma che forse nemmeno esiste.

Non va meglio neanche ai cacciatori di extraterrestri: la variabilità della famosa stella KIC8462852, di cui tanto si è parlato nei mesi scorsi in relazione alla possibilità che fosse circondata da una sfera di Dyson, ovvero una struttura artificiale aliena che ne provocava eclissi irregolari, sarebbe dovuta essenzialmente a effetti strumentali e non intrinseca alla luce della stella. Resta da capire cosa ha provocato le sue recenti variazioni di luce (forse una cometa frammentata), ma l’ipotesi della civiltà aliena è decisamente tramontata.

Ci consoleremo con la nuova messe di dati pubblicata dal team di Kepler, il telescopio spaziale che ha scoperto più pianeti extrasolari di ogni altro. Il mese scorso la Nasa ha annunciato che dall’analisi dei dati di Kepler sono stati confermati altri 1284 nuovi pianeti, di cui 550 rocciosi e ben 9 collocati nella fascia abitabile delle loro stelle. Il totale dei pianeti scoperti da Kepler sale così a 3200. Non meno interessante è la scoperta di ben tre pianeti in fascia abitabile attorno a una debolissima nana rossa, chiamata Trappist 1, che emette appena il 5% della luce del Sole. Ma il bello è che i pianeti hanno dimensioni paragonabili alla Terra e la loro distanza è di soli 40 anni luce, il che li rende tra i più facili da studiare per caratterizzarne l’atmosfera: ne sentiremo parlare ancora.

Ricorderete certamente la “supernova assassina”, la più luminosa di sempre, scoperta fra gli altri anche dal nostro collega Gianluca Masi: dopo un normale decorso di indebolimento, un anno dopo la sua esplosione si è improvvisamente “riaccesa”, producendo un eccesso di radiazione ultravioletta del tutto inatteso, prima di affievolirsi nuovamente. Non si spiega quale meccanismo abbia prodotto questo flash ultravioletto, un mistero che si aggiunge all’eccezionalità di questa deflagrazione.

Dalle profondità della Nube di Oort è di ritorno verso il Sole un frammento primordiale del sistema solare, sotto forma della cometa C/2014 S3 PanStarrs, completamente priva di coda. È composto da materiale originario del sistema solare interno e risalente all’epoca di formazione della Terra, ma fu probabilmente scagliato via fino alla Nube di Oort, dove si è preservato inalterato finora, “in ibernazione”, seguendo un’orbita di 860 anni. Il suo ritorno offre l’occasione di sfogliare le prime pagine della storia di formazione del nostro pianeta.

Fino al 22 luglio potrete visitare la mostra “Where is Dawn Now? #3”, dedicata alla missione Dawn presso la Fondazione Pastificio Cerere di San Lorenzo – non troppo lontano dal planetario. Nel cortile troverete un’installazione che contiene una mappa fotografica del pianetino Cerere, il più grande degli asteroidi, accompagnata dal testo di Giuseppe Piazzi che lo scoprì, annotando le osservazioni sui suoi diari. Da Palermo, dove avvenne la scoperta di Cerere, la ricerca si è spostata fin sulle vette del Cile, dove i grandi telescopi del VLT sono appena stati dotati di una tecnologia di alta precisione: una stella guida artificiale composta da quattro fasci di luce laser paralleli. Vederli accesi verso il cielo genera un’impressione fantascientifica, degna di un effetto speciale cinematografico.

Al planetario: Profondo Cielo in programma il 5/6 alle 17, 11/6 alle 11, 15/6 alle 21, 18/6 alle 21, 24/6 alle 21, 26/6 alle 21.