Accade nello Spazio - Marzo 2017

Data di pubblicazione: 06/03/2017  
Planetario

Apriamo subito con la notizia del momento: la scoperta di ben sette pianeti di tipo terrestre attorno alla stella Trappist-1. Ne avrete sentito parlare ovunque e in tutte le salse, specialmente quelle che ammiccano alla presenza di vita su quei mondi nuovi: vi piacerebbe! Ma la verità è che non lo sappiamo: nessuno – men che meno la Nasa – ha mai annunciato la scoperta di vita sui pianeti di Trappist-1. A dirla tutta, non è stata nemmeno trovata l’acqua – indispensabile per la vita – e gli stessi autori della scoperta, nel loro articolo scientifico sono molto cauti sulla possibilità di considerare quei pianeti davvero “abitabili”. Si sa solo che hanno dimensioni e masse paragonabili alla Terra, e questo li identifica come pianeti rocciosi; tre di loro si muovono nella “fascia abitabile” della loro stella. Ma questo non significa automaticamente che siano abitati, e nemmeno che l’acqua ci sia davvero (però se c’è sarà liquida). Insomma, quanto è importante questa scoperta? Molto, ma senza essere rivoluzionaria: perché mette a disposizione un sistema planetario ricco di mondi rocciosi e soprattutto piuttosto vicino. 39 anni luce sono un’inezia – questo è l’aspetto meno apprezzato della notizia - e permetteranno ai telescopi spaziali di studiare le atmosfere dei sette pianeti (se le hanno) già nei prossimi anni. Solo allora avremo una chance di comprendere che razza di ambiente propongono e cercare eventuali tracce di acqua e/o di vita lassù.

Per il momento, dunque, sull’esistenza di vita nello spazio si può solo scommettere. Fate la vostra scelta, e scoprirete di essere in buona compagnia: ecco le più celebri scommesse della storia della scienza, che hanno visto schierarsi fior di scienziati, spesso prendendo grandi abbagli. Un nome su tutti: Stephen Hawking, universalmente noto per essere fra gli scommettitori più accaniti, e per perdere tutte le scommesse che fa.

Mentre aspettiamo di sapere di più su Trappist-1 e i sette nani, fa bene ripercorrere l’evoluzione della nostra conoscenza dei pianeti extrasolari: questi grafici animati aiutano a farci un’idea di quanto rapidamente sia cresciuta, soprattutto negli ultimi anni grazie all’introduzione di nuovi metodi di scoperta e a grandi missioni di osservazione come il telescopio Kepler. E visto che raggiungere Trappist-1 con una sonda richiederebbe 160000 anni, meglio concentrarsi sull’impresa di Breakthrough Starshot, che tenterà di raggiungere il pianeta di Proxima Centauri in tempi più umani, accelerando una vela spaziale con dei raggi laser da Terra fino al 4,6% della velocità della luce. Ora c’è anche un’ipotesi su un dettaglio non proprio insignificante, ovvero come frenarla all’arrivo: si potrebbe sfruttare la luce di Alpha Centauri A e B per condurla proprio verso Proxima e il suo agognato pianeta. Il tutto in circa 140 anni dal lancio. 

Nell’era delle fake news e degli “alternative facts” la scienza ha un ruolo fondamentale per contrastare la superficialità sconcertante con cui la politica e spesso l’opinione pubblica travisano l’evidenza dei fatti. Le conseguenze di questo atteggiamento riguardano tutti da vicino, ad esempio sulle scelte per studiare e affrontare il cambiamento climatico, come sottolinea accoratamente il consigliere per la scienza e l’esplorazione dell’Esa: in fin dei conti, alla scienza non importa se voi ci credete o no, e i ghiacci continueranno a sciogliersi lo stesso. L’Artico ha sperimentato temperature allarmanti, ben 20° sopra la norma, tanto che alcuni scienziati hanno avanzato un’idea pazzesca: installare 10 milioni di pompe per innaffiare la calotta polare e farla ricongelare. Una proposta costosa ed estremamente complessa, ma se vogliamo salvare il pianeta è ora di prendere iniziative eccezionali. Del resto, se la politica mondiale si comporta come se non ci fosse un domani, forse una buona lezione per ridimensionare l’ego dell’umanità viene dando un’occhiata a quello che potrebbe essere identificato come il più antico progenitore dell’uomo: un piccolo e schifosetto organismo marino chiamato Saccorhytus, che viveva nelle melme dell’antica Cina e se la doveva cavare con un’unica apertura che fungeva da bocca come da ano.

Se le piogge e il maltempo invernale vi hanno ostruito le grondaie e vi preoccupa l’idea di doverle ripulire, vi consolerà sapere che fra i detriti che si sono accumulati ci sono certamente numerose micrometeoriti. Un progetto internazionale ne ha trovate 500 sui tetti di Oslo e Parigi, setacciando circa 300 kg di materiale raccolto. Invece sulla superficie di Cerere, il primo dei pianetini, sono emersi veri e propri giacimenti di materiale organico! Sono dispersi su un’area di 1000km2 nei pressi del cratere Ernutet, e devono essersi formati in loco: l’abbondanza d’acqua (congelata) di cui Cerere dispone lo renderebbe un ambiente favorevole alla chimica pre-biotica.  

Uno dei sogni nel cassetto – o meglio, nel laboratorio – dei fisici è quello di ricreare una stella: impresa difficile, perché richiede di governare le reazioni di fusione nucleare senza far esplodere l’intero laboratorio. Ora le ricerche sulla riproduzione controllata dei fenomeni di riconnessione magnetica – responsabili delle espulsioni di enormi nubi di particelle dal Sole – sembrano avvicinare un po’ la realizzazione di quel sogno. Sarebbe una manna dal cielo, diciamolo pure, specialmente per la possibilità di produrre energia nucleare pulita. 

Il fatto che il nostro Gruppo Locale di galassie si sposti nello spazio alla velocità di ben 631 km/s, in direzione del famoso “Grande Attrattore” di Shapley, ha sempre lasciato sbigottiti i cosmologi, che si aspettavano una velocità nettamente inferiore (la metà). Ora si capisce perché: dalla parte opposta c’è un grande vuoto cosmico che agisce da “Grande Repulsore”, sospingendo di fatto il Gruppo Locale e giustificando la sua elevata velocità. Sempre in termini di incertezze cosmiche, la misura della costante di Hubble (H ) oscilla fra i valori di 67,8 e 73,2 km/s/Mpc, lasciando dubbi sulla compatibilità dei risultati ottenuti con metodi differenti. Ora ne spunta uno nuovo, basato sullo “scintillio” dei quasar osservati attraverso una lente gravitazionale (ebbene sì, anche i quasar brillano – come le stelle), e il risultato ha il sapore misto dell’impossibilità di decidere fra l’indizio di una nuova fisica e la rassegnazione al fatto che la costante di Hubble non sia poi così costante. Forse l’universo si sta espandendo più velocemente di quanto credessimo.

Con molta pazienza e altrettanta cautela, si prova a fare luce sulla natura della materia oscura: ma una luce monocromatica, quella di un’emissione proveniente dall’alone galattico che è stata percepita da ben quattro diversi telescopi spaziali. Potrebbe essere la spia che favorisce la descrizione della materia oscura come composta di neutrini lenti e massicci. Sarà vero? Per fare il paio consideriamo anche la Galassia di Andromeda, la sorella della Via Lattea nel Gruppo Locale: presenta un’anomala emissione di raggi gamma distribuita in forma asimmetrica rispetto al suo centro. Potrebbe essere causata dalle sue stelle di neutroni o forse, ancora una volta, dalla presenza di materia oscura. Talvolta è proprio in mezzo a tante luci che si nascondono i mostri più oscuri: come accadrebbe nell’ammasso globulare 47 Tucanae, dove dal rapido movimento di diverse pulsar si deduce la presenza di un buco nero di massa 2200 volte quella del Sole. Un fatto di per sé sorprendente, perché l’esistenza di questi buchi neri di massa intermedia non era mai stata confermata né, secondo alcuni, ritenuta possibile. Per spiegarla occorre considerare nuove traiettorie dell’evoluzione stellare, e la possibilità che piccoli buchi neri possano fondersi fra loro senza fiondarsi lontano dall’ammasso. Per finire andiamo a raschiare un po’ di luce direttamente sul fondo dell’universo: c’è riuscito il telescopio Hubble, coniugando la sua estrema sensibilità all’uso furbesco delle lenti gravitazionali prodotte da due grandi ammassi di galassie, le quali sono poi state rimosse con una tecnica sofisticata dagli astronomi, per rivelare “cosa c’è dietro”. E dietro ci sono centinaia di minuscole, giovanissime galassiette appena formate, migliaia di volte più deboli della Via Lattea. Sono le galassie primordiali, nate fra 12 e 13 miliardi di anni fa, e sono tantissime: finalmente si può affermare che fu proprio la loro esile luce a produrre la re-ionizzazione dell’universo, dissipando la foschia delle nubi di idrogeno fino a renderlo trasparente.

Al planetario: “Profondo Cielo” è in programma il 11/3 alle 12, 15/3 alle 18, 25/3 alle 12.